BITTO D.O.P.

Il Bitto è un formaggio grasso, a pasta semi-cotta e acidità naturale di fermentazione, ottenuto con latte intero di vacca appena munto, al quale talvolta sono aggiunte piccole quantità (5-15%) di latte di capra. Viene prodotto esclusivamente durante l’estate, in pascoli alpini d’alta quota, poiché le sue caratteristiche organolettiche dipendono dalla qualità delle erbe con cui gli animali si alimentano. Ha forma cilindrica, con facce piane del diametro di 30-50 cm, e scalzo dritto o leggermente concavo, alto 9-12 cm; il peso varia da 8 a 25 kg.
La maturazione può essere media (2-6 mesi) o lunga (1-2 anni e oltre).
Dopo una media stagionatura, la crosta si presenta liscia, sottile e giallastra; la pasta risulta compatta, di colore bianco-paglierino, con occhiatura fine ed uniforme, ad occhio di pernice. Con l’invecchiamento la pasta diviene più compatta, friabile e fondente al palato, di colore giallo-dorato; la crosta si ispessisce e assume una colorazione più scura, mentre l’occhiatura si riempie di un umore denso e molto saporito. Il sapore, dolce e delicato nel formaggio giovane, diviene più intenso con il procedere della maturazione. L’eventuale aggiunta di latte caprino accentua il caratteristico aroma. Con un invecchiamento di 3-4 anni si ottiene un prodotto ottimo, ma la stagionatura può protrarsi  anche per 7-8 anni.

Il Bitto è senza dubbio il più pregiato prodotto caseario della Valtellina, e prende il nome dalla valle Orobica percorsa dal torrente Bitto, che attraversa la  Valgerola e la Valle di Albaredo, per poi sfociare nell’Adda all’altezza di Morbegno. Secondo fonti storiche, l’allevamento del bestiame da latte iniziò in questa zona oltre tre secoli fa, quando alcuni clan celtici, costretti dai romani ad abbandonare la pianura, vi trovarono rifugio: il nome Bitto pare si possa ricondurre alla parola celtica bitu, che significa perenne. Successivamente la produzione si è estesa alle vallate limitrofe. Nel 1995 il Bitto ha acquisito la Denominazione di Origine Controllata (DOC) e nel 1996 la DOP.
Attualmente può essere prodotto solo nell’area geografica stabilita dal Disciplinare di Produzione, approvato con Decreto del Ministero delle Risorse Agricole e Forestali il 9 aprile 1995.
Nell’ottobre del 1995 è sorto il Consorzio di Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto (CTCB), con lo scopo di tutelarne e promuoverne la produzione e il commercio.

Modalità produttive

Subito dopo la mungitura, il latte viene versato in caldaie di rame riscaldate a legna o a gas e mescolato lentamente con un attrezzo chiamato rudela fino a raggiungere la temperatura di 37-38°C. Si aggiunge caglio di vitello e si interrompe l’agitazione per 30-40 minuti allo scopo di consentire la coagulazione. Raggiunta la consistenza desiderata la cagliata viene rotta in grumi caseosi della dimensione di un chicco di riso, con uno strumento detto lira. Dopo la rottura la cagliata viene riscaldata fino a 49-50°C; la cottura prosegue per circa 30 minuti. Terminata la cottura la caldaia viene allontanata dal fuoco e si lascia depositare la massa sul fondo. La cagliata è estratta con un apposito telo e introdotta in fascere di legno di larice; le forme sono poi sottoposte a pressatura per circa 10 ore. Dopo 2-3 giorni ha inizio la fase di salatura, che viene praticata a secco e si protrae per circa 15-20 giorni. A salatura ultimata il formaggio viene posto a maturare su tavole di legno in piccole casere d’alpe. La stagionatura viene poi completata nelle cantine di fondovalle, per un periodo variabile dai 2-6 mesi  fino a 2-3 anni.
Durante la stagionatura, il casaro provvede periodicamente a raschiare le forme con la raspeta, per eliminare la muffa superficiale e a strofinarle con una pezza imbevuta di salamoia e olio per impedire una eccessiva evaporazione di acqua.

Curiosità

Il nome Bitto pare si possa ricondurre alla parola celtica bitu, che significa perenne.
In alcuni alpeggi la lavorazione del latte avviene ancora in caratteristiche baite casearie chiamate caleec, distribuite su tutta l’area di pascolo, costituite da un perimetro in sasso alto poco più di un metro sopra il quale si stende un telo impermeabile che funge da copertura smontabile. I caricatori d’alpe si spostano quindi da un caleec all’altro con il bestiame e le attrezzature, producendo il formaggio immediatamente dopo la
mungitura.
Fino alla prima guerra mondiale, per impartire al formaggio un bel colore paglierino si aggiungeva al latte una dose di zafferano; a causa degli elevati costi di questo prodotto, alcuni lo utilizzavano solo alla fine della stagione, quando i fiori di pascolo cominciavano ad appassire.
Modalità di conservazione
Il Bitto può essere conservato in frigorifero, alla temperatura di 0-6°C, avendo cura di avvolgerlo in un canovaccio inumidito o in un foglio di carta alimentare. E’ sconsigliato l’utilizzo di pellicola che, impedendo una corretta traspirazione, favorisce lo sviluppo di muffe.

Caratteristiche organolettiche

Il Bitto appartiene al gruppo dei formaggi alpini derivati dall’Emmenthal, con il quale presenta molte analogie, sia per quanto riguarda le tecniche produttive, sia per le caratteristiche organolettiche. Il sapore, dolce e aromatico, si fa più intenso con la stagionatura ed è reso leggermente piccante dall’aggiunta di latte caprino; talvolta può presentare un retrogusto amarognolo.

Come si consuma

Il Bitto oltre ad essere un eccellente formaggio da tavola, è adatto alla preparazione di piatti tipici valtellinesi, come i pizzoccheri, gli sciatt e la polenta taragna; può essere apprezzato anche a fine pasto,accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso. Prolungando la stagionatura diventa un ottimo formaggio da condimento che,grattugiato, può sostituire il grana.

Area di produzione

Il Disciplinare di produzione detta regole severe circa l’areale geografico e le tecniche di produzione e conservazione di questo pregiato prodotto caseario, riconoscendo un legame diretto tra il formaggio e i pascoli della zona di produzione. La zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione del formaggio Bitto comprende l’intero territorio della Provincia di Sondrio ed i territori limitrofi dei seguenti Comuni dell’Alta Valle Brembana, in Provincia di Bergamo: Averara, Carona, Cusio, Foppolo, Mezzoldo, Piazzatorre, Santa Brigida e Valleve.

Fonte: www.agricoltura.regione.lombardia.it